Vincenzo Romano un parroco sugli altari – I primi passi nel Sacerdozio

Continua il nostro viaggio per conoscere meglio il nostro Parroco Santo di Torre del Greco (Napoli) San Vincenzo Romano, in un “assaggio”del libro ,scritto dal monsignor Salvatore Garofalo, che fù il postulatore della Beatificazione del parroco di Santa Croce  nel 1963 e che divideremo in più parti per agevolare una piacevole lettura.

Vincenzo Romano un parroco sugli altari” – Salvatore Garofalo:

PRIME ESPERIENZE SACERDOTALI

Dal padre, San Vincenzo Romano aveva ereditato la serietà e la laboriosità
in ogni cosa, dalla madre una dolcezza profonda ma piena di riserbo, e queste
qualità si intrecciano in tutto il tessuto della sua lunga vita sacerdotale. La
sua serietà rischiava di invischiarlo negli scrupoli e la sua dolcezza avrebbe
potuto farlo troppo remissivo, ma la virtù, come è noto, sta precisamente nel
mezzo e si raggiunge con la fatica di ogni ora.

San Vincenzo Romano fu ordinato sacerdote la vigilia della festa della SS.
Trinità del 1775, nella basilica di Santa Restituta, fatta costruire a Napoli
dall’imperatore Costantino al tempo di Papa Silvestro (314-335). L’indomani,
egli celebrava la prima Messa nella parrocchia di Santa Croce a Torre del
Greco. Il fratello Giuseppe, che era presente, ricordava che il raccoglimento e
il fervore di Vincenzo fecero colpo sulla folla, tra la quale ci fu chi con
ammirazione disse:

«Sembra un santo». In realtà, la Messa fu per tutta la vita la grande ora di
Vincenzo e il fervore e il gusto della Prima Messa non gli mancarono mai fino
alla morte. I molti ministeri, la cura di un popolo estroso e imprevedibile,
che a tutte le ore lo cercava e lo

impegnava, non valsero mai a distrarlo dall’adempimento più attento del suo
fondamentale dovere sacerdotale, che era anche tutta la gioia della sua vita.

San Vincenzo Romano non si è mai mosso da Torre del Greco e dalla sua casa
paterna, dove occupò una stanza ancora oggi conservata quasi intatta. La casa è
in un quartiere popolare e Vincenzo poteva ascoltare dal balcone le voci della
strada, gli strilli dei bambini e il cicaleccio delle donne.

I contemporanei hanno definito San Vincenzo Romano «un celebre faticatore»,
un «operaio instancabile» nella vigna di Dio. Infatti, Vincenzo non era di
quelli che si davano «al bastoncino»! Egli avrebbe potuto facilmente diventare
un uomo di studio, uno di quei bravi sacerdoti che, zelanti nel ministero,
nutrivano anche velleità letterarie e coi saggi della loro cultura diventavano
le celebrità del paese. Tutti s’aspettavano che così fosse per il figlio di
Nicola Romano, il quale, però, preferì subito mettere a servizio del bene anche
le sue qualità naturali.

LA SCUOLA

Dopo essersi consultato col suo padre spirituale don Mariano Arciero,
Vincenzo aprì una scuola in casa per i giovanetti torresi. La scuola era
gratuita, ma il maestro era esigente, o meglio, come dicono i suoi alunni,
«esatto». Le lezioni cominciavano con un pensiero religioso sulla festa
liturgica del giorno e

facevano parte del programma l’insegnamento del Catechismo e le pratiche
religiose: ogni giorno, la Messa e la visita al Sacramento. Una serie di
cartellini distribuiti nella stanza recavano, in bella scrittura, alcune
massime eterne e con don Vincenzo non era possibile prendersela comoda: amava i
suoi ragazzi, ma era attentissimo a educarli a una scrupolosa applicazione al
dovere e al senso della responsabilità.

Ben presto, con l’autorizzazione dell’Arcivescovo, San Vincenzo Romano aprì
anche una scuola particolare per gli aspiranti al sacerdozio. A Napoli, la sua
fama ancora durava. Il Rettore del Seminario non sapeva augura- re di meglio ai
seminaristi di Torre che facessero la stessa riuscita di Romano; i professori
avrebbero voluto averlo collega, ma l’Arcivescovo preferiva che Vincenzo gli
curasse gli allievi torresi del seminario, per i quali un giudizio di Romano
era per lui decisivo. Fu in questi anni che Vincenzo approfondì meticolosamente
le materie ecclesiastiche e compilò un manuale di dogmatica e di morale, oltre
a scrivere moltissimi appunti di studio che ancora si conservano tra le sue
carte. Con i seminaristi, Vincenzo si regolò – dice un testimone – «col
medesimo rigore come egli era stato educato in Seminario, senza eccedere i
limiti della prudenza e della carità». Diremo una volta per tutte che queste
parole: «rigore»,«severità», ritornano spesso a proposito di Romano, ma esse
vanno intese nel loro giusto significato. Una sua massima preferita era:
«Dobbiamo fare bene il bene», e tutti sanno che questo non è possibile senza
una notevole dose di quella serietà, che solo i faciloni giudicano spietata o
scostante. Sta il fatto che alla scuola di Vincenzo crebbero sacerdoti
zelantissimi e di specchiate virtù.

INCONTRO ALLE ANIME

La duplice scuola non esaurì in quegli anni tutta l’attività di don
Vincenzo, il quale si impegnò contemporaneamente in vari ministeri. Cominciò
come cappellano festivo in una piccola cappella rurale perduta nella campagna,
dove fece le prime prove nella predicazione, spiegando il Vangelo della
domenica e insegnando il Catechismo. Tre anni dopo fu obbligato ad accettare
l’ufficio di Padre spirituale della Congregazione dell’Assunta, riservandosi
però di rinunziare all’emolumento annesso. San Vincenzo Romano trattò quei
«confratelli» – per lo più operai, contadini, commercianti – come se fossero la
parte più eletta di Torre. Fu anche Cappellano festivo della chiesa del
Conservatorio dell’Immacolata Concezione, affidato alle Teresiane istituite
alla fine del ’600 dalla Serva di Dio Serafina da Capri, dove erano una
cinquantina tra suore e educande.

Don Vincenzo si era iscritto a una Congregazione napoletana per le missioni
popolari detta «della Conferenza», diretta da don Mariano Arciero, e atte- se
con entusiasmo a quel ministero, allora prediletto dai sacerdoti più dotti e
più pii del Clero di Napoli.
Predicò anche spessissimo e insegnò il Catechismo nella Congrega del
SS. Sacramento annessa alla parrocchia. L’Arcivescovo Filangieri aveva in quel
tempo ordinato che nelle parrocchie fosse tenuta ogni giorno un’istruzione al
popolo e, sebbene vari sacerdoti di Torre fossero stati impegnati a questo
scopo, alla fine rimase sulla breccia il solo Vincenzo. Già prima della sua
nomina a parroco, San Vincenzo Romano aveva introdotto a Torre del Greco la
sciavica, cioè la “retata”, che consisteva in una predica all’aperto, nei punti
principali del paese, per convogliare il popolo alle pratiche di pietà in
chiesa. Vincenzo ha sempre avuto, nonostante l’aristocrazia del suo spirito,
una notevole capacità di adattamento anche alla gente più grezza, con la quale
riusciva particolarmente efficace ed eloquente. Verso il 1790 fu abilitato
anche alla confessione delle donne e l’amministrazione del sacramento della
penitenza lo occupò fino al punto che avrebbe rinunziato per essa alla scuola,
se don Mariano Arciero non lo avesse dissuaso.

Nelle adunanze settimanali del Clero torrese toccò a don Vincenzo proporre
la soluzione dei casi morali, e i suoi diligenti manoscritti, in pulito latino,
stanno a testimoniare l’equilibrio e la saggezza che lo ispirarono sempre. Non
si tirava mai indietro quando il parroco lo incaricava dell’assistenza agli
infermi e ai moribondi, rischiando anche la vita, come accadde una volta per un
ammalato contagioso. «Il Signore – dice un testimone – lo liberò dalla morte
per le preghiere di tutta la gente di Torre», la quale «ne temeva la perdita
come un flagello peggiore di qualunque rovina prodotta dalle eruzioni
vesuviane».

Il suo terrore era quello dei santi: non perdere tempo! Più tardi scriverà:
«Un artefice che, tenuto a faticar tutto il giorno per l’utile del padrone, se
ne rubasse una o due ore senza operar cosa alcuna, o non l’impiegasse che a suo
profitto in pregiudizio del padrone, sarebbe stimato ingannatore». Per un santo
sacerdote dare e darsi è un assillo, perché ogni momento può essere quello
scelto dalla grazia di Dio.

IL VESUVIO STERMINATORE

Torre del Greco paga la felicità della sua stupenda posizione, al centro di
uno dei panorami più celebrati del mondo, con la paura del Vesuvio che la
domina da vicino; ma i torresi non gliel’hanno mai data vinta e, nonostante le
eruzioni e le distruzioni, son rimasti attaccati a loro infido suolo.

Nel 1794 l’ira del vulcano, che ai tempi di Romano fu attivissimo, si
scatenò. Il 15 giugno, dopo un terremoto premonitore, la montagna si squarciò e
la lava di fuoco si riversò sulle campagne e sull’abitato di Torre del Greco.
Cenere finissima e micidiali lapilli piovevano sulla città, i cui abitanti
fuggirono precipitosamente, lasciando sotto le macerie una quindicina di morti.
La casa di San Vincenzo Romano fu una delle poche scampate all’ira di fuoco. La
chiesa parrocchiale di Santa Croce, che era una delle più belle chiese
dell’Arcidiocesi e ricca di pregevoli opere d’arte, fu completamente travolta
dalla lava. Muto testimone del disastro fu il campanile, rimasto intatto nei
due ordini superiori, com’è ancora oggi.

Fu distrutta anche la chiesa del Conservatorio dell’Immacolata e resa
impraticabile quella della Congrega dell’Assunta, dove San Vincenzo Romano era
rispettivamente cappellano e Padre spirituale. Torre del Greco doveva essere
quasi tutta ricostruita, ma invano le autorità cercarono di convincere i suoi
abitanti a occupare un territorio più vicino a Napoli e meno esposto al
vulcano. Prima d’ogni cosa, dopo aver provveduto a riattivare i traffici della
città e specialmente la pesca, si pensò a riedificare la chiesa principale, che
era di patronato municipale. Quattro mesi dopo l’eruzione, una commissione di
sei sacerdoti e sei laici era già al lavoro per raccogliere fondi e per
reclutare la mano d’opera, soprattutto quella volontaria. Non ci si contentò di
una qualsiasi chiesa per sostituire l’antica, ma si fecero le cose assai in
grande, e tuttora la parrocchiale di Santa Croce è uno degli edifici sacri più
vasti dell’Arcidiocesi di Napoli.

A Capodanno del 1795 ebbero inizio i lavori di sgombero delle macerie,
iniziati dal clero e dal popolo che si erano recati sul cantiere in
processione, portando gli attrezzi necessari. L’avvio alla difficile impresa fu
dato da don Vincenzo Romano, già scelto come membro della commissione
sunnominata, il quale non solo infervorò tutti con le parole, ma da
quel momento fu veramente l’anima della riedificazione di Santa Croce, che fu
definitivamente compiuta soltanto quattro anni prima della morte di San
Vincenzo Romano. Le offerte venivano portate a lui, perché il popolo ne aveva
piena fiducia ed era convinto che il danaro si moltiplicasse nelle sue mani. In
realtà, Vincenzo, per pagare puntualmente gli operai, non dubitava di contrarre
debiti personali anche di notevole importo, e quando gli amministratori laici
della chiesa pretesero di controllare personalmente il movimento finanziario,
tutto sarebbe fallito se, con unanime consenso, non si fosse di nuovo affidata
ogni cosa a Vincenzo.

ECONOMO CURATO

L’eruzione vesuviana aveva distrutto anche la casa di città dell’unico
parroco di Torre del Greco, don Gennaro Falanga, ottantatreenne, il quale
giudicò di non potere più per l’età far fronte agli enormi bisogni della sua
popolazione in quei tristi frangenti. Ritiratosi in una sua casa di campagna,
chiese all’Arcivescovo di dargli un coadiutore. Non era difficile scegliere tra
il numeroso clero torrese chi, per età ed esperienza, oltre che per virtù,
poteva mettersi accanto a Falanga, ma la «pubblica fama» impose il nome di
Romano, che il vecchio parroco aveva per conto suo già designato. Appena ebbe
sentore di ciò, don Vincenzo si precipitò in campagna dal suo parroco e con le
lacrime agli occhi lo scongiurò di allontanargli un peso che egli si riteneva
incapace di portare; protestò che lo avrebbe aiutato in tutti i modi,
specialmente nel più duro ministero dell’assistenza agli infermi e ai
moribondi, e promise un regalo a chi gli avesse portata la notizia che
l’Arcivescovo aveva nominato un altro sacerdote a Economo curato.

Lettere e messaggi facevano la spola tra Napoli e Torre per piegare le
resistenze di Romano, il quale non riuscì nel suo intento. Svenne in piazza
alla notizia che la sua nomina era ormai certa e quando, per un ultimo
tentativo, si recò dall’Arcivescovo per con- vincerlo della sua indegnità, si
sentì dire da Sua Eminenza: «Quando siete stato ordinato, che cosa avete
promesso al Vescovo?». «Eminenza – rispose Romano – promisi obbedienza».
«Ebbene – ripigliò il Cardinale con un tono che troncava ogni indugio –
obbedite». Soltanto l’obbedienza piegò San Vincenzo Romano, il quale, come il
Curato d’Ars, sapeva che le responsabilità di un pastore d’anime sono tali e
tante da far tremare chi è deciso a fare il proprio dovere fino in fondo:
«Amico mio – diceva il Curato d’Ars a un sacerdote – voi non sapete ciò che
voglia dire per un parroco presentarsi al tribunale di Dio». E desiderò spesso
di fuggire in luogo solitario a «piangervi la sua povera anima». L’umiltà
impedisce ai santi di giudicarsi a cuore leggero adatti al ministero più
responsabile, ma li fa anche pronti a tutto osare per virtù d’obbedienza, che
sola fa cantare vittoria.
Cominciò così, nel 1796, una nuova stagione della vita di San Vincenzo Romano.
Fin dai primi giorni, egli fu in pratica il responsabile unico di tutta la vita
parrocchiale, mentre gli spettava anche il gravoso compito di provvedere alla
ricostruzione della chiesa distrutta. San Pietro, nella sua prima lettera,
chiamava i fedeli «pietre viventi […] edificati come edificio spirituale per un
sacerdozio santo, allo scopo di offrire vittime spi- rituali bene accette a Dio
per mezzo di Gesù Cristo» (2,5) e, prima delle pietre morte, Vincenzo curò le
pietre vive della Chiesa. Un sacerdote suo consigliere delinea così il suo
atteggiamento spirituale durante tutto il tempo in cui durò il lavoro di
riedificazione di Santa Croce: «Siccome egli era persuaso che la gran
confidenza in Dio elimina ed allontana i principi della perniciosa
disperazione, così potentemente si vedeva nelle sue prediche e discorsi la
perfettissima fiducia in Dio, e nel medesimo tempo la premura di animare tutti
alla cristiana speranza; e per quanto era vivo nell’esprimere le umane miserie,
ed il proprio nulla, e l’impotenza umana a qualunque opera salutare, così
mirabilmente quasi risorgendo si vedeva tutto animato, e con una confidenza
teneramente filiale e coraggiosa, andarsi a riposare nel seno delle divine
misericordie».

Non ci sono che i santi, i quali sanno ridurre in armonia la sfiducia nei
mezzi umani, che per altri sarebbe sconforto e disperazione, con l’abbandono in
Dio, che per chi non è santo ha tutto l’aspetto di una ingenua temerità. I
santi soltanto sanno essere diffidenti e insieme fiduciosi, prudenti e
spericolati allo stesso tempo, senza mai perdere la misura della virtù. San
Vincenzo Romano ebbe molto a patire da parte degli scettici e dei seminatori di
zizzania, i quali lo accusavano di megalomania nei progetti ed erano certissimi
che la chiesa non sarebbe stata portata mai a fine. Egli rispondeva con le
parole di Dio: «Se il Signore non edifica la casa, invano vi faticano i
costruttori» (Sal 126,1) e diceva che se Dio voleva la
chiesa, nessuna difficoltà ne avrebbe impedita l’edificazione, mentre se quella
non era la Sua volontà tutto l’oro del mondo non sarebbe servito a tirar su un
muro.

Il Cardinale di Napoli aveva concesso che gli operai volontari potessero
lavorare alla costruzione della chiesa anche nei giorni festivi e ogni domenica
Don Vincenzo scendeva alla marina, accompagnato da gran folla di popolo, per
risalirne portando sulle spalle i mattoni che una feluca torrese trasportava
gratuitamente dall’isola d’Ischia. Per accendere l’entusiasmo dei fedeli, San
Vincenzo Romano compose anche una canzoncina, che suggeriva i pensieri più
adatti perchè la fatica materiale fosse appoggiata a generosi e devoti
sentimenti del cuore.

Per soccorrere il Clero torrese, ridotto dall’eruzione vesuviana in estrema
miseria, il Cardinale Giuseppe Capece Zurlo aveva depositato una somma di
danaro, dai cui interessi provvedere all’istituzione a Torre di una Collegiata,
al servizio di Santa Croce. Tra i primi canonici fu don Vincenzo, che il 16
ottobre 1796 ricevette con i colleghi la solenne investitura.

Buon cammino con San Vincenzo Romano