Verso l’incontro con Cristo – Vincenzo Romano un parroco sugli altari

Un “assaggio”del libro in specie per chi non conosce bene la figura del nostro Parroco Santo San Vincenzo Romano ,tratto da uno scritto di monsignor Salvatore Garofalo, che fu il postulatore della Beatificazione del parroco di Santa Croce nel 1963 e che divideremo in più parti per agevolare una piacevole lettura.

Vincenzo Romano un parroco sugli altari” – Salvatore Garofalo:

RADIOSO TRAMONTO

Il 1 gennaio 1824, mentre due ore prima di giorno si levava dal letto per tenere la Messa pratica in parrocchia, Vincenzo mise un piede in fallo e si fratturò il femore sinistro. Immediatamente soccorso e steso sul letto, si preoccupava dei doveri cui mancava:

«Benedetto Dio! Benedetto Dio! Iddio così vuole […]. Povera gente, mi aspetta». A chi chiedeva come gli fosse accaduta la disgrazia, rispondeva sorridendo: «Mi è avvenuto per i peccati miei […]. Ben fatto, con me questo ci vuole» e parlava di «fioretto» mandatogli da Dio.

La frattura compromise definitivamente la sua salute, già minata da un’attività parrocchiale di trent’anni senza riposo. Appena gli fu possibile, cominciò a scendere in chiesa per riprendere le sue occupazioni, ma scriveva al sindaco: «La caduta mi mantiene ancora spossato e continuamente addolorato; non posso fisicamente soddisfare agli indispensabili molteplici affari parrocchiali, che da me personalmente si debbano adempire, ma sopra le forze naturali e con continuo dolore, e se alle volte eccedo un poco il male notevolmente si aggrava». Pensò seriamente a rinunziare alla parrocchia fin dal 1827, ma temette di opporsi alla volontà di Dio.

Dopo la frattura gli si aprirono nelle gambe due dolorosissime piaghe, che lo costrinsero all’immobilità. Provvide a farsi sostituire dal suo nipote don Felice Romano, che poi fu vescovo di Ischia, e ogni sera voleva una relazione esauriente di tutto ciò che era stato fatto. Nel 1827, quando, col completamento della facciata, furono definitivamente portati a termine i lavori della ricostruzione della parrocchia distrutta nel 1794, aggiunse di suo pugno nell’iscrizione commemorativa una frase alla quale nessuno aveva pensato; volle, cioè, che fosse noto nei secoli che quella gloriosa impresa di tutto un popolo era stata possibile «per la mirabile provvidenza di Dio». Il 21 novembre 1828 San Vincenzo Romano ebbe un grande dolore: la cupola troppo ardita della sua chiesa crollò fragorosamente alla fine della Messa mattutina, seppellendo sotto le materie dieci morti e otto feriti. Quattro mesi prima, egli aveva confidato al suo medico, con parole misteriose, che sarebbe accaduto qualche cosa di molto grave, mentre i tecnici chiamati per verificare la stabilità della cupola avevano assicurato, qualche giorno prima del crollo, che non c’era nulla da temere. Vincenzo volle trascinarsi con pena somma a Napoli, per invocare personalmente dal re Francesco I un aiuto per la riedificazione della cupola.

Il 30 novembre inviò a tutto il Clero di Torre il suo testamento spirituale: una lunghissima lettera sulla necessità della carità fraterna, concludendola: «Cari carissimi fratelli, con la faccia per terra, con tutto il calore vi prego a prontamente ed interamente adempire questo sì rilevante e dolcissimo precetto, non solamente per dar gusto e il dovuto onore al nostro amantissimo Divin redentore, ed essere da Lui sempre benedetti e liberalissimamente premiati, ma anche per, confondere l’insopportabile superbia degli spiriti infernali, i quali […] per via di bugie e d’inganni seducono tanti poveri uomini, che o ignorante mente o maliziosamente, liberamente e volontariamente consentendo loro si lasciano ingannare».

All’inizio della novena di Natale del 1831, don Felice Romano, tornando a casa, trovò lo zio seduto sul letto col Breviario tra le mani e tutto tremante. Il medico diagnosticò una polmonite che avrebbe avuto un rapidissimo decorso. Con tutta solennità fu portato dal Clero e dal popolo in processione il Viatico e venne amministrato da San Vincenzo Romano , sempre lucidissimo di mente, il sacramento degli infermi. Morente, si preoccupava ancora di ricordare al nipote gli obblighi parrocchiali; ai sacerdoti che gli suggerivano pii e fervorosi pensieri rispondeva commentando i testi sacri propostigli e raccomandandosi perché gli venisse concessa la grazia preziosa di un «buon passaggio».

Le annose piaghe avevano fatto di lui «un uomo di dolore», crocifisso col Cristo. La notte che precedette la morte, chiese del nipote sacerdote; alcuni presenti, per risparmiare il povero don Felice sfinito dalle veglie, suggerirono che uno di loro fingesse di essere il nipote del Preposito, credendo che egli non era in grado di accorgersene. Ma, alla voce che gli diceva: «Zi’ prete, che cosa volete?», Vincenzo ebbe un guizzo: «Perché dite la bugia? La bugia è sempre peccato. Voi non siete mio nipote. Dite: sta riposando». Con un filo di voce raccomandò che si pregasse l’Arcivescovo di provvedere immediatamente alla nomina di un nuovo parroco per Santa Croce.

Il mattino del 20 dicembre ricevette ancora i sacramenti, poi, mormorando fino all’ultimo i dolcissimi nomi di Gesù e Maria spirò alle dieci e tre quarti.

L’ITINERARIO VERSO LA GLORIA

Quando i rintocchi lenti e desolati della campana grande della parrocchia diedero alla popolazione l’annunzio della santa morte del parroco, tutta Torre si riversò nella casa di San Vincenzo Romano e riuscì difficilissimo impedire che i suoi abiti venissero fatti a pezzi da chi già voleva una reliquia. Si era stabilito di trasportare in chiesa la salma per la via più breve, ma il popolo impose al corteo il giro lungo delle più solenni processioni e salutò l’ultimo passaggio del suo parroco decorando i balconi con coperte di seta e gettandogli fiori e confetti. Immediatamente il Clero e le autorità di Torre fecero istanza all’Arcivescovo di Napoli per il deposito canonico della salma benedetta, che avvenne il 22 dicembre. Il corpo era flessibile e si pensò di salassarlo: il sangue fluì come vivo e fu conservato nella cassa della sepoltura.

Nel necrologio per i registri della Collegiata fu scritto: «Nessun dubbio può insorgere sulla sua santa vita, mentre a relazione di santi sacerdoti e suoi confessori conservò sempre l’innocenza battesimale, e non mai alcuna parola inconsiderata gli uscì di bocca, e i suoi discorsi anche familiari sempre di Dio, nemico giurato della maldicenza e mormorazione, zelantissimo per la salute eterna delle sue pecorelle».

L’elogio funebre, tenuto alla presenza della salma di Vincenzo e dinanzi a migliaia di testimoni della sua vita, già esaltava la sua «virtù rara e sublime […], tutta soda e celeste» e auspicava che il Pastore supremo della Chiesa di Dio potesse un giorno glorificare il pastore fedele di Torre del Greco. La fama di santità del Preposito di Torre, l’attribuzione a lui di grazie particolari e spesso straordinarie da parte di chi ricorreva presso Dio al suo patrocinio, le istanze rivolte all’Arcivescovo di Napoli, indussero l’autorità diocesana ad aprire il Processo Informativo sulla vita, virtù e miracoli del Servo di Dio. Consegnati a Roma tutti i documenti relativi, Papa Gregorio XVI firmò il 3 giugno 1843 il decreto di Introduzione della Causa di Beatificazione. Il 25 marzo 1895, Leone XIII dichiarò che il Venerabile Vincenzo Romano aveva nella sua vita esercitato in grado eroico le virtù teologali della fede, speranza e carità verso Dio e il prossimo, insieme con le virtù cardinali della prudenza, giustizia, temperanza e fortezza

Il grande Papa, firmando il relativo decreto, augurava non lontano il giorno in cui l’Italia avrebbe avuto un sublime esempio di parroco proposto al Clero secolare.

Le due guarigioni riconosciute dall’autorità apostolica del Sommo Pontefice Paolo VI come miracolose, e quindi valide per procedere con sicurezza alla Beatificazione di Vincenzo Romano, sono avvenute nel 1892 e nel 1940. Il primo caso è quello della signora Maria Carmela Restucci di Torre del Greco, sessantenne, affetta da tumore maligno al petto. Dopo essersi recata a pregare nella casa di Romano, la notte stessa si svegliò perfettamente e, a giudizio dei medici, inspiegabilmente guarita.

Nel 1940, Suor Maria Carmela Cozzolino, dell’Istituto di Maria SS. Addolorata in Torre del Greco, era affetta da un carcinoma alla gola assolutamente inguaribile. Due giorni dopo il termine di una novena di preghiere fatta dalla Comunità per lei al Venerabile Vincenzo Romano, Suor Maria Carmela era in agonia e si aspettava la sua imminente morte per soffocamento. Addormentatasi profondamente quella sera, l’indomani era in perfetta salute. Il medico, richiamato d’urgenza, credette di dover firmare l’atto di morte e invece dovette onestamente dichiarare di trovarsi di fronte a un fatto che esulava completamente dal suo giudizio e a una guarigione che nessun sanitario avrebbe saputo spiegare.

Domenica 17 novembre 1963, per la prima volta l’immagine di un parroco italiano del Clero secolare splendeva nella «gloria» della Basilica di San Pietro. L’auspicio di Leone XIII è compiuto: il «sublime esempio» di Vincenzo Romano si impone alla venerazione e all’imitazione di tutto il Clero e il popolo cattolico, a maggior gloria di Dio.

Buon cammino con San Vincenzo Romano